LA
CURA PER I GRANDI ALBERI
Uno dei casi più recenti di malattia arborea che si sono
manifestati con evidenza ed implicazioni quasi sociali, è
stata senz'altro quella che ha interessato gli ippocastani
(Aesculus
hippocastanum).
Questo albero maestoso che può raggiungere i 25 metri di
altezza e ha una chioma che supera i 15 metri di diametro,
è spontaneo e assai diffuso in Europa per il suo valore ornamentale:
il nobile portamento, la vistosa fioritura e il ricco apparato
fogliare. Senza dubbio l'ippocastano è capace di migliorare
sensibilmente la percezione del paesaggio urbano e può creare
fresche oasi di densa ombra per i caldi giorni estivi, tanto
che non si contano i viali e i grandi parchi, anche di interesse
storico, dove quest'albero non abbia un ruolo determinante.
Ma tutti hanno notato come negli ultimi anni le foglie degli
ippocastani si ricoprono di chiazze di secco e, col procedere
della stagione calda, l'intera chioma si disseca progressivamente,
in taluni casi fino ad anticipare l'effetto dell'autunno con
la totale caduta delle foglie già in piena estate.
Questo guaio è dovuto all'attacco di una micro-farfalla (Cameraria
ohridella) spesso in concorso con uno specifico fungo
(Guignardia aesculi). Se è pur vero che esistono alcune
varietà di ippocastani (Aesculus flava, Aesculus
octandra, Aesculus neglecta var. georgiana)
e ibridi (Aesculus x mutabilis 'Induta') totalmente
immuni, e altre varietà (Aesculus turbinata) e ibridi
(Aesculus
x carnea) molto resistenti agli attacchi della nociva
farfalla, è altrettanto vero che la varietà hippocastanum
è quella di gran lunga più diffusa, e non è credibile l'ipotesi
di sostituire a breve termine un patrimonio tanto ingente
di piante che spesso hanno oltre un secolo di vita.
Il caso dell'ippocastano purtroppo non è il solo che interessa
i grandi alberi diffusi nelle città italiane: basti pensare
ai problemi dei platani (Platanus
orientalis, Platanus occidentalis e l'ibrido
Platanus
x acerifolia), per esempio; ma anche i tigli (Tilia
cordata, Tilia platyphillos e altre), gli aceri
ad alto fusto (tra cui Acer
platanoides, Acer
rubrum, Acer
saccharinum), gran parte delle querce, le acacie (Albizzia
julibrissin) e varie conifere, a cominciare da pini
e cedri, sono soggetti a malattie spesso assai gravi.
Si tratta di malattie parassitarie di varia natura (per lo
più dovute a insetti o funghi) che, pur essendo teoricamente
curabili con specifici trattamenti antiparassitari, di fatto
pongono spesso problemi pratici insuperabili. Infatti non
solo la maggior parte delle volte questi alberi si trovano
in contesti sociali (parchi pubblici e strade urbane) che
sconsigliano l'uso di prodotti chimici pericolosi per la salute
umana, ma in particolare, hanno dimensioni tali per cui non
esiste una seria possibilità di trattarli con i metodi convenzionali.
E si può ben immaginare cosa può significare spruzzare un
albero di oltre venti metri d'altezza con una chioma che sviluppa
un volume di migliaia di metri cubi! Ma anche su piante di
dimensione ben minore sappiamo che i costi economici dei trattamenti
"generalisti" sono alquanto sostenuti in rapporto
all'efficacia; infatti gran parte del prodotto non raggiunge
il suo obiettivo e finisce disperso nell'ambiente; inoltre
il fattore meteorologico può influire pesantemente e richiedere
trattamenti ripetuti per realizzare un effetto accettabile...
Ma negli ultimi anni questi problemi hanno trovato una soluzione
alternativa assai interessante: l'endoterapia.
Si tratta sostanzialmente di intervenire in modo puntuale
e discreto su ogni singola pianta, per effetto di una terapia
interna di fitofarmaci di origine chimica e/o biologica e,
dove opportuno, anche con la somministrazione di fertilizzanti.
In altri termini, viene praticata alla pianta una terapia
tipo "flebo", con l'iniezione direttamente nel suo
sistema linfatico di soluzioni accuratamente preparate per
favorire un più efficace assorbimento dei principi attivi
necessari.
Recenti evoluzioni di metodo hanno permesso l'esecuzione
di interventi assai rapidi e poco invasivi, al punto che per
un trattamento completo può bastare anche un solo foro nel
tronco, del diametro da 2 a 4 millimetri e profondità da 2
a 4 centimetri. Il tempo medio del trattamento, per un albero
con diametro del tronco di circa 50 centimetri, generalmente
varia da 1 a 5 minuti, in funzione delle caratteristiche fisiologiche
della specie, della stagione, della temperatura esterna e
del tipo di fitofarmaco. Il numero dei fori (al massimo 5)
e la loro dimensione dipende dal diametro del tronco, dalla
consistenza della ramificazione, dalle caratteristiche fisiologiche
della specie e da altri fattori particolari del soggetto botanico
da trattare. E' ovvio che ogni singolo albero viene valutato
nella sua specificità ai fini del trattamento, cosa che tra
l'altro garantisce la massima efficacia dell'intervento.
Un notevole vantaggio del metodo endoterapeutico sta anche
nel fatto che la strumentazione necessaria è piuttosto ridotta
e non richiede l'uso di mezzi meccanici, sì che l'intervento
può essere eseguito in ogni situazione raggiungibile direttamente
dall'operatore umano (per esempio all'interno di cortili con
accessi solo pedonali, in aree boschive ad alta densità arborea,
su pendii scoscesi, ecc). Inoltre gran parte delle volte basta
un solo intervento annuale (eventualmente in seguito bi- tri-annuale
col recedere dell'attacco parassitario, fino alla sua completa
estinzione), da effettuare in un arco temporale assai ampio,
in certi casi perfino durante il periodo di dormienza delle
piante; diversamente dai trattamenti di tipo generalista,
che sono legati alle condizioni meteo, alla stagione, al ciclo
vitale specifico dell'agente parassitario, e così via.
Così stando le cose, è chiaro che l'abbattimento (un genere
di intervento tra l'altro spesso complicato e costoso) non
é più la sola alternativa concessa ai grandi alberi ammalati...
g.z.
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