PROGETTO
E SCELTA DELLE PIANTE
Nella scelta delle piante per un giardino, il catalogo non
deve avere un determinante ruolo progettuale. Il catalogo
delle piante è solo uno strumento di confronto tra quelle
specie e varietà che il luogo del giardino ha già originariamente
e necessariamente "scelto" per se.
Insomma, il progetto del giardino si fa sul luogo concreto,
non su un inventario generico di piante. Inoltre è opportuno
avere un tema guida, che solo in astratto sarà stilistico-ideologico.
In realtà anche il disegno nasce dal luogo e dal contesto
(le emergenze storiche, edilizie e botaniche, oltre che le
esigenze del committente) del giardino. Naturalmente vi è
un certo margine di "fantasia" applicabile nella
scelta delle piante, ma in ogni caso questo non dovrà mai
eccedere il grado di adattabilità delle specie e varietà considerate.
D'altronde non bisogna dimenticare che la natura ha un grado
di fantasia, ovvero una molteplicità espressiva, assai superiore
a quella umanamente pensabile.
Detto questo, è opportuno sottolineare che il grado di adattabilità
delle piante non è una faccenda semplice e lineare. I fattori
da considerare sono molteplici e dipendono a grandi linee
da tre categorie fondamentali: il clima, il terreno,
il paesaggio.
Questo criterio, la cui validità è generale, operativamente
si riferisce sempre alle particolarità dei casi.
In Italia a complicare
le cose ci si mette una situazione ambientale che è tra le
più eterogenee e complesse che si conoscano in Europa. La
variabilità delle tre categorie appena citate, qui è assai
alta: abbiamo un mosaico cangiante di combinazioni possibili,
che può variare nel giro di pochi chilometri tra un punto
e l'altro. Ciò significa che tante volte le informazioni botaniche
fornite da libri e cataloghi possono discostarsi dagli esiti
effettivamente riscontrabili in pratica. E si capisce, perché
libri e cataloghi sono spesso curati da estensori che hanno
realizzato una esperienza, magari anche notevole, ma circoscritta
a un determinato contesto, non di rado addirittura esterno
ai confini nazionali (come avviene per esempio nel caso della
traduzione di tante, peraltro ottime, pubblicazioni di origine
anglosassone; ovvero relative a situazioni dove le condizioni
climatiche, pedologiche e paesaggistiche sono assai diverse
da quelle tipicamente riscontrabili in Italia).
L'unico testo sicuro da questo punto di vista è e resta il
contesto di insediamento; così come l'abilità più soddisfacente
di un progettista è insita nella sua capacità di leggere e
interpretare il contesto appunto, cioè quello che in particolare
gli raccontano le associazioni vegetali (soprattutto quelle
spontanee) presenti sul campo operativo, ovvero nei dintorni
del luogo in cui si deve ambientare il giardino.
Del clima e del terreno si è già accennato altrove (vedi
zone fitoclimatiche e pedologia),
ora si vogliono fare due o tre considerazioni preliminari
sul paesaggio. In primo luogo, il paesaggio è importante perché
rappresenta il punto di sedimentazione dell'identità culturale
di un luogo. Le città si riconoscono (e si vanno a visitare)
per i loro caratterizzanti centri storici, non per l'uniforme
mancanza di identità delle loro periferie, sempre le stesse
ovunque...
L'identità culturale è parallela a quella sociale e costituisce
il substrato del benessere psicologico individuale. Il senso
del "tornare a casa" o del "sentirsi a casa"
ha inequivocabilmente a che fare con la riconoscibilità del
paesaggio che ci appartiene, che è fatto di elementi fisici,
oltre che di memoria. E infatti è quando i nostri ricordi
non si riconoscono più nelle cose, che avviene il senso di
disagio psicologico che poi si sublima nei più vari problemi
sociali.
Un punto strettamente legato a quanto appena affermato, è
nella constatazione che il paesaggio nasce dalla relazione
tra la natura e la storia.
I fattori naturali (fra cui due dei principali sono proprio
il clima e la struttura del terreno) e i fatti storici (intesi
soprattutto come l'esprimersi delle tradizioni popolari) concorrono
a rappresentare il volto del territorio. E le piante, al pari
delle architetture, ne costituiscono la trama visibile. Raramente
si tratta di piante esotiche, quasi sempre sono le piante
spontanee quelle più indicative. Le specie esotiche, sempreché
perfettamente adattate al luogo, talvolta possono caratterizzare
qualche emergenza monumentale, come il parco di una villa
storica per esempio; e solo attraverso una simile contestualizzazione
possono entrare a far parte del paesaggio.
Il celebre paesaggio collinare toscano, per esempio, è fatto
di olivi e cipressi. Piante che appartengono a quella particolare
situazione, si potrebbe dire, che abitano quel luogo. Non
sono il risultato di uno sforzo d'immaginazione progettuale:
sono spontanei. Ora, se "incolliamo" su quel paesaggio
uno di quei "giardinetti-periferia", sempre uguali
perché confezionati in base a presupposti meramente commerciali,
lo si noterà subito per la sua incongruenza. E invariabilmente
finirà per diventare un fastidio anche per lo sfortunato committente,
perché questi dovrà lottare ogni giorno con un ambiente ostile
al suo giardino, un ambiente che lo costringerà ad apportare
alle sue piante cure speciali, non richieste dalle altre specie
spontanee che vivono nei dintorni, un ambiente che spesso
sarà portatore di parassiti più o meno pericolosi. E viceversa.
Con ciò non si vuole affermare che le specie esotiche devono
essere bandite. Anzi, un corretto approccio architettonico
(e artistico in generale) considera sempre l'introduzione
di elementi di differenza, poiché essi sono spesso insostituibili
per evidenziare una determinata logica progettuale. Ma la
"differenza" per essere manifesta e per esprimere
un programma culturale logico (riconoscibile), deve essere
amministrata all'interno della struttura progettuale. In altre
parole, un Cedrus piantato nella pianura, marca il
paesaggio con la presenza di un fatto speciale se tutto intorno
a lui vi sarà un bosco di querce o di carpini o di pioppi,
per esempio; non se vi sarà un guazzabuglio di specie aliene,
tra le quali si perde il Cedrus e si perde pure il
paesaggio.
Il fenomeno delle ville venete (costruite durante un lungo
arco di tempo che va più o meno dal Quattrocento fino alla
fine del Settecento) ha punteggiato con tocchi esotici un
vasto territorio (tutta l'area dalla provincia di Verona fino
alla pianura friulana), che almeno fino alla prima metà del
Novecento era pressoché intatto e riconoscibile nei suoi caratteri
paesaggistici. Allora la presenza delle emergenze monumentali
date dalle ville si cominciava a percepire fin da lontano
con l'apparizione delle chiome di grandi conifere e altre
specie estranee al paesaggio tipico; in questi casi le specie
esotiche causavano una intensificazione di significato che
trovava ragione nella presenza della villa, ovvero di un centro
di controllo economico (e culturale) del territorio.
Oggi, in un paesaggio purtroppo assai degradato, l'uso dell'esotico
può trovare senso in applicazioni di tipo artistico-concettuale,
in fin dei conti con funzioni non dissimili da quelli che
hanno avuto durante l'epoca d'oro delle ville venete. Ma per
fare ciò, non basta aprire un catalogo: è necessario avere
anche delle idee progettuali.
g.z.
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